In un clima di festa e di amicizia il Rotary Club di Vasto ha celebrato, Sabato 25 maggio, il quarantesimo anniversario della sua fondazione. Si è dato l’avvio alla solenne ricorrenza con la partecipazione dei soci, degli ex-soci e dei familiari alla S. Messa, celebrata da Mons. Decio D’Angelo (anche lui socio del club), il quale, dopo aver richiamato, nell’omelia, la valenza biblica del numero quaranta (“Il tempo in cui Dio opera la salvezza”) ha sottolineato come il quarantennale del club rotariano è stato un periodo sufficiente per la maturazione piena dei soci, attraverso l’attuazione delle cinque vie d’azione, proiettate soprattutto nell’impegno del servizio verso gli altri.
Si è, quindi, passati al Teatro Rossetti, dove si è svolto un interessante convegno sul tema “La Pace e l’Etica del Servizio”, di cui è stato moderatore lo stesso don Decio, il quale, dopo l’intervento di saluto del Presidente del club, dott. Beniamino Di Domenica, ha presentato alle autorità civili (tra di esse in prima fila il sindaco Lapenna), militari e rotariane i due illustri oratori: il vescovo dell’arcidiocesi di Chieti-Vasto, mons. Bruno Forte, ed il Past Governor e attuale Coordinator del Rotary (Zona 12-13B e PT 19), avv. Mario Giannola.
L’avv. Giannola ha ricordato innanzitutto l’importanza della ricorrenza del quarantennale, che interpella la memoria e sollecita propositi per il futuro, per poi sottolineare le genuine radici su cui è stato fondato il Rotary: diffondere nel mondo le relazioni amichevoli, perché nelle intenzioni di Paul Harris e degli altri soci fondatori c’è stata la volontà di “esaltare le diversità in quanto rappresentano una ricchezza dell’umanità”.
L’impegno fondamentale del Rotary, ha proseguito Giannola, è quello del servizio: l’impegno, cioè, di rendersi disponibili con spirito di vera gratuità, spalancando una finestra sulle emergenze, sulle povertà e sugli scenari inquietanti che gravano nel mondo.
L’invito finale di Giannola è stato quello di rileggere il Rotary, riscoprendone vitalmente i suoi valori fondanti in particolare il valore della pace, che va praticata a partire da noi stessi e dall’ambiente familiare.
Ha preso la parola Padre Bruno che ha così esordito: “La parabola dell’epoca moderna coincide con il processo che va dal trionfo della “ragione adulta”, caratterizzata dalle ambizioni più totalizzanti, all’esperienza diffusa della frammentazione e del non senso, seguita dalla caduta degli orizzonti forti dell’ideologia. Al secolo lungo, l’Ottocento liberale, borghese, iniziato con il mito della rivoluzione francese e conclusosi con la tragedia della prima guerra mondiale, segue il così detto “secolo breve”, tempo di inaudite violenze, segnato dall’affermarsi dei frutti estremi del totalitarismo dei modelli ideologici e dal loro declino, di cui è cifra il 1989, anno del crollo del muro di Berlino”.
Per spiegare più concretamente quale idea di pace si è sviluppata in questo contesto storico, Mons. Forte ha utilizzato tre metafore: la luce, la notte e l’aurora.
Nel periodo dell’illuminismo (il secolo delle luci, appunto), in cui la realtà è stata piegata alla potenza del pensiero, si è sviluppata una pace violenta, che lungi dal produrre emancipazione, ha generato dolore, alienazione e morte. In tal modo l’utopia della “pax moderna” ha ceduto il posto al tragico “disincanto” della cosiddetta post-modernità. E qui entra in campo la metafora della “notte”. “Se per la ragione adulta – ha sottolineato Mons. Forte – tutto aveva senso, per il pensiero debole della condizione post-moderna nulla sembra avere più senso. E’ tempo di naufragio e di caduta. Il sogno stesso della pace cede il posto alla pura idea funzionale dell’assenza di guerra e della presunzione di sicurezza garantita dalla potenza delle armi”.
Ma lo scenario del tempo, ha aggiunto l’Arcivescovo, che dall’ebbrezza delle visioni ideologiche porta all’indifferenza propria del tempo della “décadence”, non esclude segni di luce e di speranza. Ed ecco la terza metafora: l’aurora. C’è, nonostante tutto, ha chiarito Mons. Forte, una “nostalgia di perfetta e consumata giustizia”, una sorta di ricerca del senso perduto, che è possibile individuare in tre espressioni: la riscoperta dell’altro, l’urgenza di misurarsi con le esigenze dell’Assoluto, l’esigenza di un nuovo consenso intorno alle esigenze etiche.
Dopo un breve richiamo alla “Pacem in terris” di Giovanni XXIII (di cui ricorre il cinquantesimo), Padre Bruno è passato ad approfondire la centralità della figura di Cristo “nostra pace”, proponendo tre esodi: quello di Gesù dal Padre (la pace è un dono), quello di Gesù da sé (l’Abbandono è sorgente della pace: la pace, cioè, è dono da vivere per la causa dell’altro), quello di Gesù verso il Padre (Gesù è la speranza della pace che non delude).
Nel terzo punto il Vescovo ha spiegato come rendere ragione oggi della nostra speranza al servizio della pace, attraverso tre attitudini: essere discepoli dell’Unico (la pace nasce da una profonda dimensione interiore contemplativa), essere servi per amore (si costruisce la pace, se si è pronti a pagare di persona), essere testimoni del senso (occorre vivere la profezia della pace senza fermarsi).
E’ seguito un incisivo dibattito, a cui ha partecipato anche il pubblico presente. Al termine del convegno, i maestri Leila Shirvani (violoncello), Davide Di Ienno (chitarra) e Aldo Ferrantini (flauto) hanno offerto un applaudito concerto con brani di Schubert, De Falla, Morricone, Bellafronte, Monti e Bach.
La seconda parte della festa si è svolta nella sede sociale, dove, con la presenza di alcuni past Governor e di alcuni rappresentanti dei club del Distretto 2090, c’è stata una simpatica conviviale, durante la quale è entrato un nuovo socio, il commercialista dott. Adri Cesaroni, è stato presentato un gruppo di giovani, venuti dalla Tasmania, Stato dell’Australia, per uno scambio culturale, ed è stato donato il libro, che ripercorre le tappe più importanti delle attività di “service”, svolte dal club durante i quarant’anni.
LUIGI MEDEA